LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha emesso la seguente ordinanza sull'appello p.g. appelli 9603/96 depositato il 13 marzo 1996, avverso la sentenza n. 8, del 16 gennaio 1996, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Firenze da Imposte dirette di Firenze, I ufficio; controparti: Fabbri Giovanni residente a Firenze, in via A. Nicolodi, 5; difeso da Di Tullio dott.ssa Adelaide, residente a Firenze, in via XXVII Aprile n. 2; atti impugnati: cart. pagamento n. 4005088 not. 12 novembre 1993, ILOR 1987. 1. - L'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Firenze con atto del 14 marzo 1996, ha impugnato avanti questa Commissione regionale la decisione n. 8 del 16 gennaio 1996 della Commissione tributaria di primo grado di Firenze la quale, accogliendo il ricorso di Giovanni Fabbri (agente di commercio) relativo ad ILOR 1987 avverso una cartella esattoriale emessa per L. 4.409.000 ed accessori, ha ritenuto fondato il primo motivo di gravame con il quale ricorrente deduceva la nullita' e la illegittimita' della pretesa tributaria. Tale pretesa si era infatti manifestata con cartella esattoriale notificata il 12 novembre 1993, emessa ex art. 36-bis, d.P.R. n. 600/1973, oltre il termine del 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, e quindi oltre il 31 dicembre 1989. Secondo l'Ufficio il termine previsto dall'art. 36-bis cit. concerne la "liquidazione delle imposte" e non l'iscrizione a ruolo delle stesse che scaturiscono da tale liquidazione, da ritenersi effettuabile entro il termine di cui al primo comma dell'art. 43, d.P.R. n. 600/1973. Conseguentemente il termine previsto dall'art. 36-bis, secondo l'Ufficio appellante, avrebbe natura ordinatoria e non perentoria, e comunque tale da non impedire l'efficace esplicazione della attivita' impositiva della Amministrazione finanziaria, pur dopo la sua scadenza. Con successiva memoria del 20 maggio 1998, l'ufficio ha poi richiamato l'art. 28, legge n. 449/1997 secondo il quale il primo comma dell'art. 36-bis, d.P.R. n. 600/1973 nel testo da applicare sino alla data stabilita nell'art. 16 del d.lgs. n. 241/1997, deve essere interpretato nel senso che il termine in esso indicato avendo carattere ordinatorio, non e' stabilito a pena di decadenza. La Commissione regionale ritiene peraltro che l'art. 28 cit. sia sospettabile di violazione dei principi posti dagli artt. 3, 24, 97, 101, 102, primo comma e 104 primo comma della Costituzione, e ritiene quindi non manifestamente infondata la relativa questione di incostituzionalita', che quindi solleva d'ufficio ai sensi dell'art. 23, terzo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87. 2. - La questione di costituzionalita' nei termini che di seguito si espongono, e' rilevante con riferimento alla materia del contendere, in quanto l'attribuzione di natura perentoria al termine posto dall'art. 36-bis cit. e comunque di effetti decadenziali alla pretesa della Amministrazione finanziaria in conseguenza dell'inutile decorso di tale termine, e' tale da determinare l'accoglimento del ricorso; le cui ragioni di merito potranno essere quindi esaminate successivamente alla risoluzione, e solo nel senso favorevole all'Amministrazione finanziaria, della questione preliminare relativamente alla natura del termine posto dall'art. 36-bis alla luce della interpretazione autentica dall'art. 28, legge n. 449/1997. 3. - Si deve in primo luogo affermare che non spetta al giudice (e nel caso quindi anche il giudice tributario) la facolta' di procedere ad una interpretazione correttiva-emendativa del testo legislativo, al punto di affermare che all'art. 28, legge n. 449/1997 laddove attribuisce "carattere ordinatorio" al termine di cui all'art. 36-bis dal d.P.R. n. 600/1973, debba essere attribuito significato ed effetti innovativi ex nunc (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale) e non quindi contenuto di interpretazione autentica con effetti ex tunc. Il titolo dell'art. 28 reca chiaramente la dizione "norma interpretativa", ed inoltre il testo stesso del comma 1 precisa, con espressione assolutamente inequivoca che l'interprete non puo' forzare al punto da rinnegarne il contenuto chiaro e manifesto, che il comma 1 dell'art. 36-bis "deve essere interpretato". Dunque se il legislatore (come appare incontestabile) ha inteso attribuire all'art. 28 effetti di interpretazione autentica dell'art. 36-bis, tali effetti non possono che retroagire in tutte le, sedi (amministrative e giudiziarie, e queste ultime di giustizia tributaria ovvero ordinaria) nelle quali debba farsene applicazione in sede di svolgimento di attivita' amministrativa o giurisdizionale. La Commissione non ignora l'esistenza di interpretazioni riduttive, tendenti ad escludere efficacia retroattiva dell'art. 28 (non senza sottolineare il paradosso di una norma interpretativa soggetta ad ulteriore interpretazione rettificativa), ma sta di fatto che il giudice, salvo il preliminare scrutinio di legittimita' costituzionale al quale e' abilitato dall'art. 23, legge n. 87/1953, non puo' disattendere la volonta' del legislatore ordinario cosi' come resa manifesta dal senso comunemente accettato delle espressioni usate. Ne consegue che all'art. 28, correttamente interpretato, non puo' che attribuirsi il valore di norma di interpretazione autentica e quindi in grado di produrre effetti in tutti i procedimenti, amministrativi e giurisdizionali, non definiti. 4. - Del pari irrilevante e' l'obiezione, pure manifestata dalla dottrina e dalla giurisprudenza ed indubbiamente fondata, secondo la quale l'uso del termine "ordinatorio", nell'art. 28, appare del tutto improprio e tale da generare equivoci e da richiedere quindi ulteriori attivita' interpretativa. In effetti e' incontestabile che la distinzione tra termini ordinatori e perentori appartiene piu' al diritto processuale che al diritto sostanziale (artt. 152 e 153 c.p.c.), e soprattutto che la sanzione della decadenza per gli atti compiuti oltre la scadenza del termine, e' comune tanto ai termini perentori quanto a quelli ordinatori, differenziandosi questi ultimi dai primi, dalla facolta' attribuita al giudice (art. 154 c.p.c.; il che conferma che trattasi di termini posti alla attivita' processuale del giudice e delle parti) di prorogarli in presenza di giusti motivi e se richiesto prima della scadenza. Detto cio' appare quindi evidente che l'interpretazione autentica dell'art. 36-bis disposta dall'art. 28, e' diretta ad attribuire al termine ivi previsto natura non di termine ordinatorio in senso proprio, ma piuttosto di termine acceleratorio, avente quindi funzione nell'ambito del procedimento amministrativo di accelerare una determinata attivita' della pubblica amministrazione. Ma e' altresi' evidente che nel caso, la discussione sul valore del termine "ordinatorio" usata dall'art. 28, e' di nessun rilievo, posto che almeno due significati della norma sono chiarissimi: la sua efficacia interpretativa e la espressa esclusione di sanzioni decadenziali per il caso di inutile decorrenza del termine previsto dall'art. 36-bis cit. 5. - Il contenuto dell'art. 28 deve essere quindi ricostruito nel senso che la legge ha inteso escludere effetti decadenziali della pretesa della Amministrazione finanziaria a causa della inutile decorrenza del termine di cui all'art. 36-bis; ed e' nei confronti di tale attivita' legislativa di interpretazione che possono essere esposti ragionati e fondati sospetti di contrasto con gli artt. 3, 24, 97, 101, 102, primo comma e 104, primo comma della Costituzione: a) possibile contrasto con gli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione. Ritenere che l'Amministrazione finanziaria possa esercitare le facolta' di cui all'art. 36-bis nel termine di cui all'art. 17, d.P.R. n. 602/1973 che richiama il termine di cui all'art. 43 d.P.R. n. 600/1973, equivale in primo luogo a violare i principi di ragionevolezza dei quali e' presidio l'art. 3 della Costituzione e che impongono al legislatore di disciplinare in modo ragionevolmente differenziato situazioni sostanzialmente diverse, quali: l'attivita' di controllo sostanziale di accertamento prevista dall'art. 43 e che costituisce attivita' amministrativa di istruttoria, di acquisizione di dati, di cognizione, valutazione e manifestazione di giudizio in ordine ai presupposti della pretesa tributaria e per la quale il legislatore ha previsto un termine piu' ampio, e l'attivita' meramente liquidatoria delle imposte sulla base degli stessi dati esposti dal contribuente e dagli allegati alla dichiarazione, di regola priva di apprezzamenti discrezionali, e quindi tale da essere esperibile a garanzia del contribuente, in termine assai piu' breve. L'equiparazione, quanto al termine consentito per il loro svolgimento, di attivita' amministrative sostanzialmente diverse, non appare quindi ragionevole ed e' comunque fonte di pregiudizio per il contribuente, il quale si troverebbe soggetto, anche con riferimento alla liquidazione effettuata ai sensi dell'art. 36-bis, ad un maggior onere di interessi, che il legislatore fissando un minor termine, ha inteso evitare. Si aggiunga che l'esposizione del contribuente alla pretesa tributaria conseguente a mera attivita' liquidatoria, per il maggior termine previsto dall'art. 43 cit, si traduce, nella sostanza, nella impossibilita' di contrastare in giudizio tale pretesa qualora manifestata oltre il termine fissato dall'art. 36-bis (in violazione dell'art. 24 della Costituzione), e soprattutto nella disincentivazione del "buon andamento" e della responsabilita' della attivita' amministrativa. Il rispetto di tali principi, dei quali e' garante l'art. 97 della Costituzione, esige che l'azione della p.a. sia improntata a celerita', allo scopo di ridurre la condizione di incertezza nella quale si trova colui che si trovi soggetto al potere impositivo tributario (analoghi principi valgono in tema di espropriazione per pubblica utilita', condizionata al rispetto dei termini perentori, ancorche' prorogabili, fissati nella dichiarazione di pubblica utilita' e nel provvedimento di occupazione). Per contro, appare irragionevole e comunque deresponsabilizzante per la pubblica amministrazione, che due diverse attivita' amministrative finalizzate alla imposizione tributaria (una avente natura di mero controllo contabile-documentale, l'altra di indagine e di accertamento complesso, espressione di discrezionalita' tecnica) siano assoggettate allo stesso termine; b) possibile contrasto con gli artt. 101, 102, primo comma e 104, primo comma della Costituzione. Si premette che l'attivita' interpretativa del legislatore non sfugge alle regole generali che disciplinano l'interpretazione (artt. 12 e segg. delle disposizioni sulla legge in generale), con la peculiarita' che a differenza delle altre forme di interpretazione e della attivita' interpretativa svolta dai diversi soggetti abilitati a vario titolo a provvedervi, l'interpretazione del legislatore, che non e' soggetta ad alcun onere di motivazione, puo' individuare e rendere cogente per i soggetti ai quali spetta di attuare la volonta' della legge, anche l'opzione interpretativa meno giustificata e fondata. Peraltro, anche l'interpretazione autentica, al pari delle altre forme e fonti delle interpretazione, incontra taluni limiti, il primo dei quali impone che l'opzione interpretativa del legislatore deve comunque corrispondere ad uno dei possibili significati della legge (anche se non al piu' probabile); mentre il secondo limite e' rappresentato dalla esigenza che siano presenti nell'ordinamento rilevanti dubbi ed incertezze nella individuazione del significato della legge, in pregiudizio dell'interesse generale alla certezza del diritto. L'interpretazione da parte del legislatore si giustifica quindi: a) quando l'opzione interpretativa che si impone per legge non e' estranea ai possibili significati della norma; e b) quando la pluralita' di tali possibili significati, nessuno dei quali ha assunto ancora prevalenza nel diritto vivente, costituisce res dubia, caratterizzata dalla coesistenza se non equivalenza, di diverse opzioni interpretative, tutte egualmente giustificabili, in guisa da determinare incertezza del diritto, confusione amministrativa e pericolo di disparita' di trattamento tra i diversi destinatari della norma (Corte costituzionale 23 novembre 1994 n. 397; Corte costituzionale 5 novembre 1996, n. 386). Tanto premesso in linea generale, si osserva che la questione circa la natura del termine previsto dall'articolo 36-bis con taluni contrasti in sede giurisdizionale, aveva trovato soluzione e componimento proprio in sede delle massime istanze nelle quali la volonta' della legge viene dichiarata ed applicata, con affermazione inequivoca, tra le diverse possibili interpretazioni, della natura perentoria del termine previsto dall'art. 36-bis e degli effetti decadenziali della pretesa tributaria nel caso di suo inutile decorso. Quindi, pure a prescindere dal merito della questione, sta di fatto che il costante indirizzo della Commissione tributaria centrale a partire quanto meno dal 1995 e successivamente le due conformi decisioni della Corte di cassazione del 9 maggio 1997, n. 7088 e del 24 settembre 1997 n. 12442, avevano eliminato ormai ogni possibile dubbio in ordine alla interpretazione dell'art. 36-bis, contribuendo cosi' a porre uno dei due limiti sopra precisati alla attivita' interpretativa del legislatore (la assenza attuale nell'ordinamento e nel diritto vivente, di interpretazioni contrastanti e di incertezza del diritto per effetto della prevalenza di una interpretazione giurisprudenziale). Ne consegue che l'emanazione dell'art. 28 ha certamente superato tale limite, venendo cosi' a realizzare sia un evidente straripamento di potere o invasione delle competenze della Autorita' giudiziaria alla quale compete di manifestare ed attuare il dictum della legge, sia un altrettanto evidente sviamento di potere, essendo ipotizzabile che l'art. 28 sia stato emanato non con la finalita' di risolvere contrasti interpretativi (ormai composti), ma con lo scopo di contrastare ed arginare l'interpretazione della legge effettuata dall'Ordine giudiziario nella sua autonomia costituzionalmente garantita, per di piu' contrapponendovi una interpretazione favorevole alla Amministrazione finanziaria, motivatamente esclusa dalla giurisdizione.